a cura di Caterina Resta
La «svolta linguistica» che sempre di più caratterizza il panorama filosofico contemporaneo indica nel linguaggio non una questione tra tante, ma quella a partire dalla quale tutte le altre dipendono. In questo orizzonte il confronto con Heidegger risulta non solo decisivo, ma ineludibile: egli ha infatti mostrato in maniera esemplare come alla domanda “che cosa significa pensare?» si possa rispondere solo a partire da un’interrogazione radicale sull’essenza del linguaggio. Un’essenza solo apparentemente ovvia, in realtà tanto più misteriosa e sfuggente quanto più tentiamo di avvicinarla. Heidegger infatti ci rende avvertiti innanzitutto del fatto che non possiamo indagare il linguaggio come un oggetto, dal momento che in esso già da sempre siamo, e ogni tentativo per comprenderlo non può prescindere dalla consapevolezza di esserne, a nostra volta, già compresi. Ciò significa che ogni riflessione sul linguaggio, pensa sempre in un linguaggio o a partire da un linguaggio che si tratta di valutare con la massima attenzione. Come prima di lui Nietzsche, Heidegger è ormai perfettamente consapevole che la filosofia è «un genere di scrittura», prima ancora che essere una forma di pensiero. Mediante un’esemplare pratica di scrittura – in stretto colloquio tra poetare e pensare – Heidegger ha tracciato il suo cammino di pensiero destinandocelo come un cammino verso la parola.